Andiamo per luoghi comuni: l'anarchico è quel figuro con una barbaccia, un mantello nero e una bomba da scagliare. Insomma, un pazzoide violento. Cosa c'è di vero in quest'immagine stereotipata? La violenza è un'opzione che compare costantemente nella storia dell'anarchismo, certo, non ha riempito i cimiteri come gli stati, le chiese e il capitale ma comunque è una pratica con la quale dobbiamo fare i conti. Violenza che si incarna in forme e contesti storicizzati: dal tirannicida all'espropriatore, dalla lotta armata rivoluzionaria all'insurrezionalismo, dall'autodifesa popolare al solitario vendicatore. Dalla Comune di Parigi alla Grecia dei nostri giorni. Eppure se la violenza fa parte della storia dell'anarchismo essa non lo determina in modo definitivo, anzi si pone in modo dialettico con altre sensibilità di matrice nonviolenta che considerano tali pratiche come il sigillo del potere sia esso dell'uomo sull'uomo, dell'uomo sulla donna o dell'uomo sulla natura. In mezzo, la storia degli uomini che permette di essere pacifici ma non pacifisti, antimilitaristi ma combattenti nella resistenza. In ultima analisi un nodo mai risolto ma fecondo di riflessione sul dominio e sulla natura dell'anarchismo.
Ne parliamo con Massimo Varengo della FAI di Milano. Moderano Dino Taddei e Lorenzo Valera.
Alle 21.30 circa per la rassegna 'Cinema e Anarchia' proietteremo Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (ITA 1970) di Elio Petri con Gian Maria Volonté, presenta Simona Treccani.
Ingresso libero con tessera ARCI