Il carcere, così come lo conosciamo oggi, è un’invenzione tutto sommato recente, con i suoi due secoli, o poco più, di vita. In questo tempo esso ha manifestato tutto il suo fallimento, almeno rispetto al suo programma dichiarato: non funziona come strumento di riduzione del crimine e non è in grado di “recuperare” il criminale. D’altronde, già Tocqueville e De Beaumont, al termine del loro viaggio dedicato alla conoscenza e allo studio del “nuovo” sistema penitenziario che si sperimentava negli Stati Uniti nei primi decenni dell’Ottocento, dovettero riconoscere che esso non era capace di riabilitare il condannato. Quanto alla sua pretesa funzione di protezione sociale, Emma Goldman scriveva lapidaria che è «come dire che la salute possa essere promossa con un contagio diffuso!».
Eppure il penitenziario ha conquistato un’egemonia indiscussa nell’immaginario pubblico come strumento di esecuzione della pena e di risoluzione dei conflitti sociali. Il pensiero anarchico e libertario, in tutte le sue declinazioni, ha invece sempre opposto una critica radicale all’istituzione carceraria, al suo essere strumento di contenimento, o peggio d’occultamento, del disagio e di neutralizzazione del conflitto sociale.
In questo incontro della Pianta Anarchica parleremo di carcere e di repressione penale delle lotte politiche e sociali con Sergio Onesti, Eugenio Losco e un compagno di OLGa (è Ora di Liberarsi dalle Galere).