Dotato di una pregevole espressività del tocco e di una voce calda e sbilanciata tra intimismo e furore, Paolo Saporiti attraversa il post Duemila compiendo alcuni passaggi piuttosto consuetudinari tra coloro che si muovono nel sottobosco indipendente italiano, pur rappresentandone a tutti gli effetti il profilo di un outsider.
In primo luogo, Saporiti – milanese – non si esprimerà che in inglese per un tempo discretamente lungo. Sono tre gli album e due gli Ep pubblicati tra il 2006 e il 2012 in lingua inglese: Don Quibol e l’Ep The Restless Fall (entrambi del 2006) e l’Ep Just Let It Happen (2008), Alone (2010) e L’ultimo ricatto (2012). Con alcune eccezioni, le canzoni contenute in questi lavori sono influenzate dal folk britannico e statunitense, dal purismo ascetico di un Bon Iver e dalle mescolanze imprevedibili di un Devendra Banhart.
Eppure si sente già un attraversamento, l’apparizione saltuaria di impreviste scariche di elettricità, che lasciano già intendere come la sua sia una musica tenue solo all’apparenza, in realtà segnata una tensione sotterranea che ancora non sa come scaricarsi, ma che è lì, insinuante.
Come altri casi eclatanti di artisti indipendenti, inoltre, Saporiti viene in un certo momento intercettato da una major, la Universal, forse convinta di poter utilizzare l’appeal internazionale del suo cantautorato per travalicare i confini italiani. Dall’approccio scaturisce l’album Alone con la produzione artistica di Teho Teardo, dove sia il titolo e che la produzione sono scelti dalla casa discografica; pur mantenendo la qualità del materiale elevata, la commistione tra Teardo e Saporiti non si traduce in amalgama, con gli interventi del compositore chiaramente riconoscibili e non troppo integrati al folksinging di Saporiti, sebbene l’album resti un ascolto piacevole, autunnale, attraversato da sobrie apparizioni dissonanti, come una finta quiete.
L’esperienza della libertà creativa ‘controllata’ insieme ad aspettative di vendita deludenti impongono una ripensamento complessivo, che Saporiti legge come un invito a identificare pienamente la propria identità artistica. Dopo un altro album in inglese (ma con titolo italiano, L’ultimo ricatto), Saporiti abbraccia del tutto la lingua italiana pubblicando un album simbolicamente omonimo. Trainato dall’attitudine aperta e imprevedibile di Xabier Iriondo, promosso produttore artistico dopo le collaborazioni saltuarie sui lavori precedenti, Paolo Saporiti viene arrangiato quasi ‘d’impronta’, lasciando ampio spazio all’improvvisazione. È una scelta che premia il materiale: l’ascolto si presenta come un flusso di coscienza omogeneo, in cui il cantautore ondeggia con vigore tra momenti di privato assoluto e malinconia invernale a sprazzi di furia dissonante.
Si ha la forte sensazione che l’italiano abbia svelato la carne cruda della scrittura di Saporiti: i testi scavano a mani nude in un grumo emozionale complesso, attraversato da rimpianti, ambizioni, desideri reconditi, pesi, dipendenze, soprattutto vulnerabilità non esibite con compiacimento, ma lasciate fluire, come in una tenue liberazione. Il risultato è un album di travolgente e difficile intensità, che conquista una serie di acuti osservatori, e in alcuni casi viene definito persino ‘capolavoro’ (vedi Claudio Milano su Ondarock), senza tuttavia che ciò si traduca nell’apertura a platee più ampie (il 2014, va detto, è l’anno in cui l’indie certifica la sua fascinazione per il pop, di Fuoricampo di Thegiornalisti e di Costellazioni, cioè l’abbraccio di Vasco Brondi alla solarità melodica).
Passano pochi mesi e Saporiti pubblica nuovo materiale, ancora più ispido e urticante, se possibile: Bisognava dirlo a tuo padre che a fare un figlio con uno schizofrenico avremmo creato tutta questa sofferenza, titolo di respingente brutalità, porta all’estremo la sua modalità espressiva, polarizzando violenza e carezza, rabbia e introversione, raschio e dolcezza. Sono cinque canzoni presentate in due versioni opposte e complementari: la prima acustica e più ‘convenzionalmente’ folk, la seconda ‘alterata’ dalle deviazioni distorte di Iriondo. A completare il quadro anche la cover di “Hotel Supramonte” di Fabrizio De Andrè, anch’essa in duplice veste (anche se la canzone che contiene in nuce molte delle esplorazioni tematiche di De Andrè nella musica di Saporiti sembra essere “La domenica delle salme”, ed è riferimento davvero significativo). Bisognava dirlo… è un ascolto complesso e, accettate le regole del gioco, decisamente stimolante: ma è un bagno nell’oscurità, impossibile da affrontare con distrazione o leggerezza.
Forse anche per interrompere la densità di questo flusso creativo, Saporiti si lancia nell’esperienza dei Todo Modo, un ‘supergruppo’ messo in piedi insieme a Iriondo e Giorgio Prette. Con questo trio inedito, di cui gli altri due terzi rappresentano o hanno rappresentato colonne portanti degli Afterhours, Saporiti pubblica due album: Todo Modo nel 2015 e Prega per me nel 2017. L’effetto sembra rigenerante: le canzoni conservano tratti riconoscibili dei tre musicisti, generando però qualcosa di decisamente differente, che consente loro di spingersi altrove nei propri percorsi. E di divertirsi: sono album che emanano un genuino godimento nell’esecuzione.
L’effetto è che, messa in stand-by l’esperienza del trio, Saporiti decide di tornare alla dimensione più intima dei dischi a sua firma, e in qualche modo alle sue radici, ai tempi degli album in inglese. Per Acini, formalmente il suo terzo lavoro in italiano, torna a farsi affiancare da Christian Alati, in cabina di regia già dall’esordio di Don Quibol. Lontano dalle deviazioni disturbanti dei due dischi in italiano precedenti, Saporiti perfeziona un suono più mite e rotondo, che pare tenersi sospeso a un passo dalla terra dell’introversione più estrema, e insieme persino cercare tracce di affabilità armonica.
I temi ricorrenti ci sono tutti, soprattutto la centralità della famiglia, ma stavolta sono come raffreddati nella visceralità, come mediati. Il segreto potrebbe essere nel concept alla base dell’album: Acini è infatti ispirato al racconto Acini d’uva del papà di Saporiti, Agostino, figura centrale nel suo percorso umano e professionale, la cui scomparsa prematura ha provocato reazioni dure e dolorose, per sua stessa ammissione.
Paolo Saporiti chitarra e voce
Alberto Turra chitarra elettrica
Lucio Sagone batteria
https://youtu.be/h5g-zlN5wJM
https://youtu.be/eGpzBP5uxu0
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