di e con elisabetta vergani
musiche originali dal vivo filippo fanò
“per troppa vita che ho nel sangue tremo nel vasto inverno” A.P.
La sfida è molto alta: prestare il proprio corpo e la propria voce alla parola poetica di Antonia Pozzi, poetessa milanese morta suicida nel 1938, una delle voci più alte della poesia del ‘900 europeo, la cui fortuna e notorietà però è di recente acquisizione. Risale infatti alla fine degli anni ‘80 con la pubblicazione degli inediti e poi con il convegno a lei dedicato nel 2008 dall’Università Statale di Milano, a settanta anni dalla morte.
“Avvicinarsi a piccoli passi, rispettando il tabù, preparati a strappare ai morti il loro segreto non senza pena. La confessione della nostra pena, da lì dovremmo cominciare”.
Cito questa frase di Christa Wolf, altra grande mia predilezione e sorella d’elezione, di cui nel mio percorso artistico ho messo in scena due suoi romanzi -Cassandra e Medea- perché essa esprime in modo esatto l’atteggiamento con cui mi accingo a interpretare sulla scena la vicenda umana e artistica di Antonia.
Avvicinarmi a piccoli passi, insieme al pianista e compositore Filippo Fanò da anni mio insostituibile e prezioso compagno nella comune ricerca teatrale e musicale, facendoci accompagnare anche da altri musicisti per creare una sorta di melologo: l’opera poetica, le lettere, i diari della Pozzi andranno a comporre la drammaturgia lessicale che dialogherà con la partitura musicale.
Parole, suoni e immagini. Antonia, oltre che poeta, era un’eccellente fotografa. La sua vibrante e palpitante anima poetica si riflette anche nelle fotografie che tanto raccontano di lei, dei luoghi da lei amati e frequentati, il suo rapporto con Milano, con la periferia alle porte della città-piazzale Corvetto, via dei Cinquecento, Porto di mare- soggetti anche della sua ultima produzione poetica, Pasturo, la Valsassina, le sue “madri montagne”, la Zelada, il Ticino, Bereguardo.
Scrive la Pozzi in una lettera ad un amico: ”….perché non per astratto ragionamento, ma per un’esperienza che brucia attraverso tutta la mia vita…io credo alla poesia. E vivo della poesia come le vene vivono del sangue. Io so che cosa vuol dire raccogliere negli occhi tutta l’anima delle cose e le povere cose…. sentire mute sorelle al nostro dolore ”.
Dare un nome e una casa all’anima di tutte le cose anche quelle impalpabili, effimere che fluttuano nell’aria, restituire un corpo alla voce della sua poesia, per tanto tempo così misconosciuta, riconoscerla e riconoscersi in questo atto, mi appare ora, grazie ad Antonia, appassionante e necessario.
Ingresso con tessera Arci e sottoscrizione