Perdersi nella natura è un mito romantico, nato in concomitanza con il suo opposto, la rivoluzione industriale e la metropoli. Un mito ben vivo anche oggi, a giudicare dal numero infinito di proposte di trekking nei luoghi più inaccessibili della terra. Ma vagare nella natura selvaggia è un’esperienza che chiunque può fare anche a pochi chilometri da casa propria, in qualche valle disabitata tra Piacenza e Liguria o nei pressi del Lago Maggiore, in Val Grande, la più grande area di wilderness in Europa.
Wilderness non si può tradurre in italiano, a meno di non usare qualche orrido neologismo. È un’indicazione geografica, con certe caratteristiche ambientali (la scarsità o assenza della presenza umana), ma è anche uno stato d’animo, quasi il corrispettivo del “sentimento della natura” e del “sublime” dei Romantici e di Kant.
In tempi più recenti la wilderness è divenuta un’istituzione, come i parchi naturali, ma in maniera diversa.
Valentina Scaglia, oltre ad aver percorso mezzo modo con zaino e tenda, è una profonda conoscitrice delle terre selvagge della nostra penisola, cui ha dedicato un libro prezioso Wilderness in Italia. A piedi nei luoghi del silenzio (Hoepli); sarà un piacere sentirla parlare del Supramonte sardo o dell’Orsomarso o di qualche impervia valle appenninica, tra villaggi abbandonati e lupi.