I Killi Billi sono un gruppo punk di finti fratelli, come i Ramones o gli Oblivians, e questo basta già a renderli simpatici.
Sì, ma non punk nel senso lato del termine, con chitarre e amplificatori e tanti watt veloci da sparare nel disagio giovanile. Così è facile, son capaci tutti.
Punk nell’attitudine, perché loro usano gli strumenti acustici: voci, chitarre, contrabbassi, tamburelli, glockenspiel, diamoniche, fisarmoniche, cajon, cabasa e quanto altro accidente capiti sottomano.
Uno si aspetta il muro del suono elettrificato nel tributo a Johnny Rotten e invece trova un elogio dada a Marcel Duchamp. Ah, ah!
La loro musica gira al contrario, parte dalla connotazione del punk per arrivare alla denotazione di qualcosa che è più vicino al country bianco ubriaco, il crocevia tra Johnny Cash e i Clash ma senza la lettera -elle- di mezzo che caratterizza univocamente il tutto.
Loro si divertono un casino a stare sulla linea di confine, e manifestarsi al mondo così come sono, senza tante menate, maschere e presunzione, autoprodotti per vocazione più che per necessità.
Insomma, si danno da fare, lo fanno in allegria e con grande passione.
Chiamami KILLI sarò il tuo BILLI, l’ingresso è libero, la consumazione no e, si sa, chi non viene è un Giovanardi.
Ah, ah! Sono dei grandi.