Un sentiero fatto di monologhi e canzoni, in una forma di rappresentazione che proprio da Gaber ha preso il nome di "Teatro canzone". Più che un omaggio, un impeto. Un impulso intenzionalmente seguito, con l'intento di raccontare un Gaber diverso da quello celebrato dalla consueta comunicazione di massa, iconizzante un frivolo esecutore di simpatiche ballate da italietta del boom. Raccontarlo attraverso i suoi brani meno inflazionati. Raccontarlo in più forme, con sguardi diversi, gesti diversi, anche al femminile.
"Un recital per me è una specie di panoramica delle cose che mi hanno colpito o stimolato di più nell'anno: una trasfigurazione a livello musicale di uno sfogo che uno ha dentro e fa esplodere in una serie di canzoni, in una situazione che poi diventa teatrale. La possibilità di fare teatro, di andare in palcoscenico e dire quello che penso del mondo e di ciò che mi circonda, è un grandissimo privilegio" (Giorgio Gaber, da un'intervista pubblicata su "Il Messaggero" del 29.10.1983)
Lo spettacolo si sviluppa su una formula dalle origini lontanissime. Quella del teatro civile. Sulla scena gli attori dialogano col pubblico narrando fatti, storie, pensieri attuali e di interesse popolare, accompagnando parole, gesto e musica come un antico cantore.
Il filone è quello che lega aedi e rapsodi della Grecia antica ai giullari, ai saltimbanchi, ai trovatori delle corti medioevali o alle maschere della Commedia dell'Arte di antica e più recente tradizione: artisti girovaghi, detentori della memoria popolare, spesso vati scomodi del destino di un'epoca, divulgatori di notizie, saggi e insieme cinici opinionisti sull'uomo e i suoi valori, viaggiavano di città in città, ognuno nel proprio tempo e nella propria storia di cittadini, varcando ogni confine parlando una lingua comprensibile a tutti, quella dell'espressione artistica. La forma evocativa più idonea per portare in scena il teatro civile di Gaber.